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Weekly Favorites: Cinema

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Audrey Tatou, Barnaba Ponchielli, Boris Vian, Jeff Bridges, La schiuma dei Sogni, Michel Gondry, Mood Indigo, R.I.P.D., Robert Schwentke, Romain Duris, Ryan Reynolds, Weekly Favorites Cinema:

Il ritorno dalle vacanze estive è sempre duro ma per stavolta la programmazione cinematografica sembra essere magnanima proponendo una manciata di titoli capaci di distrarre e affascinare e far pensare (in attesa dell’arrivo delle perle che ha regalato la Biennale di Venezia: Gravity e Sacro Gra, su tutti!). Tralasciando specchietti per le allodole come Elysium (grande delusione dal regista di District 9 che cerca di ammaliare le major con un fallito tentativo di emulare il Bay di Armageddon in chiave fantascientifico-rivoluzionaria), Riddick (terzo episodio della saga incarnata da Vin Diesel, capace solo di rovinare qualsiasi cosa goffamente e faticosamente creata nei precedenti episodi), L’Intrepido (o del male che hanno fatto al cinema italiano i comici televisivi) o il secondo episodio di Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo (secondo spettacolare metodo per lobotimizzare i vostri figli con i miti greci), quattro sono le pellicole di pregio (di cui una che verrà proiettata solo giovedì 12 settembre in modalità “day and date” e che uscirà in contemporanea anche online e in dvd, ovvero il documentario storico The Spirit of ’45 di Ken Loach, che ripercorre lo stillicidio politico e sociale cui fu sottoposto quello che, alla fine della seconda guerra mondiale, fu definito Lo spirito del ’45, una delle più potenti scosse rinnovatrici e civilizzatrici di tutto il dopoguerra inglese) che, anche se non immuni da piccole pecche formali, sapranno rendere la permanenza in un cinema un’esperienza appagante. Ai due approfondimenti qua sotto aggiungo la menzione per A Late Quartet – Una Fragile Armonia di Yaron Zilberman, primo film vero e proprio dal regista del documentario Watermarks, che indaga le dinamiche interne di un quartetto d’archi. Il più grande pregio di questa pellicola è anche il suo maggiore difetto: non bastano quattro attori eccezionali come Philip Seymour Hoffman, Christopher Walken, Catherine Keener e Mark Ivanir per raccontare certe dinamiche, ci vorrebbero dei veri musicisti. Ma per fortuna che ci sono loro a salvare quel poco di buon che è racchiuso in questa pellicola che sbanda pericolosamente verso l’harmony senza manco accorgersene!

 

Mood Indigo – La schiuma dei giorni di Michele Gondry

La somma di Michel Gondry e Boris Vian non poteva che essere un qualcosa di estremo e senza ritorno, verrebbe da dire. Mood Indigo è una pellicola debordante in tutti i sensi, che li intacca proprio i sensi, che li confonde e li fa vacillare fino a trasformare questo processo di decadimento in riflessione esistenziale o, all’opposto in noia. Non ci sono vie di mezzo per la fruizione di questo fantasy esistenzialista, c’è solo forse l’osservazione distaccata, dall’alto, da lontano per ammirarne la geografia di trovate analogiche che Michel ha applicato al surreale tumulto delle parole di Vian. Un altro scoglio contro cui dovranno scontrarsi molti, ma che allo stesso tempo sarà uno stimolo incredibile per altri, è la presenza della coppia Audrey Tatou – Romain Duris, come dire cosa succede quando Amelie o Coco decide di mettersi con lo Xavier de L’appartamento Spagnolo o con lo Stephane di Gadjo Dilo, due corpi cinematografici quasi archetipici di certo cinema contemporaneo ormai, odiati e amati allo stesso tempo. E in effetti il chaos surreale e il ritmo incalzante possono ricordare l’Amelie di Jean-Pierre Jeunet, solo che Gondry lo declina a una corsa a perdifiato nei suoi sogni più splendenti e nei suoi incubi più neri, riuscendo a racchiudere in questa pellicola tutto ciò che sappiamo di lui, tutto il suo mondo magico ma malinconicamente inquietante, per non dire anche macabro. E il tutto per raccontare, semplicemente, una storia d’amore, il suo inizio e la sua fine.

 

R.I.P.D. (Rest In Peace Department) di Robert Schwentke

Beh, questa pellicola è stata una vera sorpresa. Non mi aspettavo assolutamente nulla. Il regista è quel Robert Schwentke, tedesco di Stuttgart, che ci ha regalato boiate patinate come Flightplan, The Time Traveler’s Wife o il recente Red, blockbuster dipinti come film d’autore, che ammiccavano e gigioneggiavano scopiazzando senz’anima. Stavolta invece, buttandosi a capofitto su un plot che ricorda molto Men In Black (sostituite i morti viventi e gli spiriti maligni con gli alieni e l’organizzazione per cui lavoravano Will Smith e Tommy Lee Jones con l’aldilà ed è fatta) riesce nell’intento di divertire e di confezionare una commedia d’azione che ti tiene incollato per 96 minuti alla poltrona. Ancora meglio di Men In Black, la coppia Jeff Bridges/Ryan Reynolds si sa destreggiare ottimamente a livello attoriale grazie ad una sceneggiatura semplice ma solida e a personaggi simpatici e ben caratterizzati, pur nel delirio quasi necrofilo del racconto. In questo senso, un certo sguardo morboso e spregiudicato verso l’aldilà ricorda illustri predecessori come il Peter Jackson di The Frighteners o il Tim Burton di Beetlejuice. Jeff Bridges poi è un maestro nel non prendersi sul serio e dare quel tocco western e allo stesso cazzone mutuato da una carriera costruita su personaggi sempre sopra le righe (Il Grande Lebowski su tutti ma senza dimenticare il Rooster Cogburn del remake di True Grit o anche il Bad Blake di Crazy Heart) che qui condensa con intelligenza nel burbero Roy Powell: peccato che ve lo vedrete orrendamente doppiato e perderete metà del divertimento del suo bofonchiare sudista!


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